Musiche dal silenzio

Musiche dal silenzio

Tra i vincitori dell’Italian Heritage Award© 2013, un progetto di recupero delle musiche perdute

Di Daniele Gigli

Dove finiscono le parole pensate e mai dette? E dove le musiche intuite e mai suonate? Scripta manent, lo sappiamo tutti. Ma i pensieri mai giunti alle labbra, le note appuntate su un pentagramma e morte con il loro autore? Perduti nel buio della storia insieme a coloro che li avevano pensati?

È un mistero, che cosa ne sia di quel che sembra non vedere la luce della storia, se non nei nostri animi. Ed è da questo mistero che parte la ricerca con cui Marina Toffetti, docente di Teorie musicali presso l’università di Padova, si è aggiudicata la prima edizione dell’Italian Heritage Award©. Il progetto nasce dal desiderio di recuperare partiture antiche pervenuteci lacunose e non più eseguite, offrendo così a noi posteri la possibilità di vederle rieseguite e goderne. Se il premio, nello specifico, le è stato assegnato per il lavoro sulla «Musica a più voci» di Giulio Cesare Ardemanio, tutto il lavoro di ricerca di Marina Toffetti è volto alla restituzione alla storia di un patrimonio artistico che, come racconta lei stessa in una nota sulla «Domenica» de «Il Sole 24 Ore», solo per la musica vocale del Cinquecento tocca approssimativamente le 3000 ore di musica perduta.

Conserveremo tutto, allora? Non sarà invece giusto e naturale che la vita – e le sue espressioni – si perdano nello scorrere del tempo, senza che l’ossessione di eternarne i singoli attimi ci colmi di registrazioni (scritte e orali) da cui mai avremo il tempo di farci interrogare? Se è vero che questo rischio è alto – tanto più oggi, con la semplicità di registrazione e diffusione delle nostre espressioni scritte e orali che la tecnologia permette – è vero altrimenti che nel caso specifico il recupero nasce da un interesse concreto per alcune opere concrete. È comunque una tradizione, nel senso etimologico di tradere, a vincere, non l’illusione di conservare tutto perdendo così tutto. Si tratta di quel fenomeno che uno storico anti-storicista come Rodolfo Quadrelli chiamava “tradizione del possibile” opponendola alla “dittatura del probabile”.

La tradizione ha strappi, ondate e riprese e può subire discontinuità anche lunghe. Quel che conta, perché non sia tradizionalismo, è che ci sia qualcosa da tradere – e qualcuno a cui il mistero della storia muova il desiderio di tra-dirlo.

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