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Ieri, domenica 5 ottobre, è stato organizzato un incontro online

Ieri, domenica 5 ottobre, è stato organizzato un incontro online per discutere del disagio che stanno vivendo i nostri ragazzi nelle scuole pubbliche in questo clima di mobilitazioni per Gaza e per la Palestina dai toni violentemente ostili a Israele, in cui è normale definire “resistenza” Hamas e il massacro del 7 ottobre e “dal fiume al mare” è uno slogan comunemente accettato e utilizzato, anche da parte degli insegnanti. Difficile capire come si possa agire in un contesto cui dominano visioni del conflitto parziali e unilaterali, imprecise sulla storia e incapaci di cogliere la complessità.
La situazione nelle università è particolarmente grave, tanto che alcuni studenti israeliani sono arrivati al punto di non frequentare le lezioni perché non si sentono sicuri, come è emerso dalla drammatica testimonianza di una studentessa. Nelle scuole superiori più che la preoccupazione per la propria incolumità fisica domina il disagio psicologico di molti ragazzi ebrei, che non hanno la possibilità di confrontarsi in modo sereno né con i compagni né con gli insegnanti.
La serata di ieri è stata più che altro un momento di ascolto, in cui i ragazzi hanno avuto modo di raccontare le proprie esperienze. Purtroppo da molti interventi si è capito che i margini di azione sono estremamente limitati perché ogni nostra iniziativa rischia di essere controproducente e di ritorcersi contro i nostri stessi ragazzi, che stanno, come è stato detto, in prima linea: dovendo comunque convivere ogni giorno per anni con compagni e insegnanti preferiscono tacere, non esprimersi sul tema, parlare d’altro. Provare a fare controinformazione sarebbe una battaglia impari: lezioni o giornate di studio sulla storia del conflitto mediorientale che provenissero da noi sarebbero comunque guardate con sospetto e molto probabilmente disertate; meglio proposte di attività che non provengano da noi come per esempio “Costruire la Pace: comprendere il conflitto, promuovere il dialogo” proposta dalla FNISM (Federazione Nazionale degli Insegnanti), ma senza farsi eccessive illusioni. Anche eventuali azioni legali (peraltro difficili da intraprendere perché metterebbero in discussione il principio della libertà di insegnamento) non farebbero che alimentare il clima di ostilità. A maggior ragione è impossibile fare informazione nelle scuole occupate, quando sono i collettivi studenteschi a decidere quali attività svolgere e chi invitare a parlare.
Non c’è possibilità di dialogo con chi ha già deciso cosa pensare, è stato detto giustamente, non c’è interesse ad ascoltare un punto di vista diverso. Se insegnanti, allievi e dirigenti scolastici sono in larga maggioranza compatti nella loro visione unilaterale e spesso poco informata del conflitto, qualunque azione significherebbe, dal punto di vista dei nostri ragazzi, mettersi contro il sistema, un sistema che è così sicuro di essere dalla parte giusta della storia da non ritenere necessario lasciare spazi al dubbio e all’analisi della complessità.
Pur nello sconforto e nel senso di impotenza la serata è stata comunque positiva, un momento di dialogo e di confronto per far sentire almeno ai nostri ragazzi che non sono soli, che la Comunità è dalla loro parte.
Questo, organizzato in pochissimo tempo a causa dell’urgenza della situazione, intendeva comunque essere solo un momento di confronto iniziale, a cui si prevede che seguiranno altri incontri più strutturati.

Anna Segre

 

Foto di Taylor Flowe su Unsplash

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